Termini Imerese: un bagno tra le ciminiere 16 Novembre 2002
C'è
un punto, a pochi km da Palermo, dove la costa
settentrionale della Sicilia, rigogliosa di agrumeti,
ulivi secolari, vigneti e ogni altro ben di dio,
aggrappati su fertili terreni, che vanno a scivolare in
un mare azzurro, di un azzurro quasi blu, con tonalità
indefinibili con un termine preciso, si interrompe.
Interrotta da un panorama cupo, che infonde nell'animo
un senso enorme di tristezza.
Le macchine sfrecciano veloci sulla palermo-messina
semideserta, accanto a enormi tubi. Viadotti che si
intrecciano con altri viadotti, quasi a formare nodi
inestricabili.
E a fianco non più i campi verdi, non più il mare, ma
una grigia distesa di cemento, tubi, ciminiere.
Tutto è così maledettamente ordinato ma
incomprensibile, in quella distesa di tubi che si
incontrano.
Termini Imerese era il sogno industriale della Sicilia
del nord: oggi, passato il tempo dei sogni, è solo un
esempio di quanto possa fare la mano dell'uomo contro il
lavoro secolare e minuzioso della natura.
E' bastato lo stabilimento FIAT, ma soprattutto la
centrale elettrica dell'ENEL a trasformare questo tratto
dell' "isola del sole", come recitava un spot
televisivo, in una squallida immagine di periferia
cittadina sul modello delle grandi città del nord, come
Milano o Torino.
***
Ma c'è chi in questo tratto di terra e mare vede il
sogno di una vacanza aspettata per tutto l'anno e
finalmente arrivata.
Una domenica e via, da godere fino all'osso, da spolpare
fino all'ultimo brandello, unica occasione e poi via,
fino alla prossima estate.
E allora eccoli, palermitani ma non solo. Ore di viaggio
dall'interno dell'isola, infuocato, tra le immense
distese di grano, biondo pronto ad essere tagliato, fino
alla costa, sbocco più vicino ed unico per chi ha a
malapena i soldi per riuscire a pagare la benzina
necessaria per raggiungerlo.
Uomini, donne, bambini, cani, gatti, auto, camioncini,
tende, tendoni, bidoni, tutto sdraiato in un unicum,
quasi a fondersi col cemento che invade tutto.
I viadotti si trasformano in una sorta di immenso
ombrellone, che protegge dal sole una spiaggia che forse
non si può nemmeno più chiamare così.
Le famiglie si accampano, il più vicino possibile alla
strada, con la macchina ed ogni accessorio a portata di
mano.
Si scaricano ogni genere di cose, si montano tende e
casupole, aiutandosi con quello che la
"natura" offre sul posto, dai pezzi di
armatura in ferro ai resti di chissà cosa, oramai erosi
dal tempo.
I bambini in acqua sguazzano felici davanti allo scarico
della centrale elettrica. « Nessun pericolo, è acqua
pulita. Serve solo a raffreddare... », rassicura la
famiglia vicina, abituè della spiaggia.
Eppure quel rigagnolo nerastro tra l'ennesima colata di
cemento da ben poco di buono da sperare.
La mamma inizia la laboriosa lavorazione per riscaldare
i piatti amorosamente preparati a casa nei giorni
precedenti, in particolare la tradizionale pasta al
forno, che in nessun caso può mancare nelle tavolate
sulla spiaggia dei siciliani.
E poi iniziano i commenti sui pasti dei vicini, si
inizia a cercare di individuare nel proprio il migliore.
***
Il pomeriggio scorre veloce dopo pranzo, tra schizzi
d'acqua, sgridate e dormite sull'asfalto arroventato,
quasi a ricercarne effetti miracolosi su reumatismi e
altri dolori delle ossa affaticate di chi tutto l'anno
lavora per arrivare a questa giornata al mare per la
propria famiglia.
E'quasi sera quando la spiaggia si spopola.
Dall'autostrada il sole si vede appena, tramontare
dietro generatori e tralicci.
La giornata è finita, il mare ondeggia sulla battigia
di questo pezzo di mondo in cui il miraggio
dell'industrializzazione ha portato solo ad uno scempio
selvaggio, che agli occhi di chi sa accontentarsi
diventa un paradiso. Agli occhi di chi magari nelle
piccole cose, povere e malconcie, ritrova più felicità
di chi con le proprie carte di credito si trova disteso
su una spiaggia di un'isola tropicale, tra stupendi
panorami e acque pulitissime, ma con un sacco pieno di
problemi e pensieri a funestare una vacanza che non potrà
mai apprezzare.